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2007-03-00

Speciale "Brandi cento anni dopo"

pubblicato in «Il Giornale del Restauro» - Rapporto annuale de «Il Giornale dell’Arte / dell’Architettura», marzo 2007, pp. 12-13.

 

Paolo Marconi

 

Meno valido nell’architettura

 

Rifacimento e falsificazione

 

 

La semplice manutenzione programmata sarebbe il più augurabile degli interventi sugli edifici degradati (come ricordava, inascoltato, Giovanni Urbani), ma da noi è impraticabile non solo per mancanza di fondi, ma anche per l’assenza di una cultura del restauro che prenda in considerazione il rifacimento accurato delle parti degradate (l’obiettivo primario della manutenzione), cosa aborrita peraltro da coloro che insistono sull’illogico pregiudizio che il rifacimento sia «peccaminoso», in quanto simile, anche nel caso del restauro architettonico, alla falsificazione degli oggetti d’arte.

Pregiudizio inveterato, in Italia, dai tempi del Grand Tour, per il semplice motivo che l’industria della falsificazione è l’unica industria fine davvero italiana e fomenta un mercato internazionale attivissimo, cui gli storici dell’arte e i critici d’arte italiani hanno sempre compartecipato da quando le loro discipline si sono istituzionalizzate, condividendo di conseguenza l’opinione caratteristica dei mercanti d’arte secondo la quale la copia sarebbe un falso, specie se ben fatta, e dunque un crimine, come lo sarebbe la falsificazione della moneta.

Eppure, sul piano logico, la buona copia diviene un crimine solo se venduta fraudolentemente come originale; in mancanza di un’intenzione o di un uso fraudolento altro non è se non una performance artistica come tante altre cui la qualità dell’autore aggiunge valore intrinseco come la qualità del violinista aggiunge valore intrinseco alla riproduzione di un brano musicale di Paganini.

Nel caso dell’architettura e dell’edilizia, infatti, non abbiamo a che fare con prodotti autografi (autografo = scritto di propria mano dall’autore, Vocabolario Devoto-Oli, 1987), proprio come non sono prodotti autografi la musica o la scultura in marmo o bronzo (troppi ignorano che questa ultima è il frutto di accurate duplicazioni di un originale in cotto o gesso, e si vada a Canova o a Fidia), e dunque l’equiparazione del restauro architettonico al restauro di opere dipinte di propria mano dal loro autore è del tutto impropria e anzi irrazionale. Beninteso, noi italiani andiamo fieri della Carta del Restauro di Venezia del 1964, nella quale si sancisce, all’Art. 9), che «qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e teoriche, deve distinguersi dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca», ma abbiamo rimosso il fatto che questa asserzione discende dall’appena uscita Teoria del restauro di Cesare Brandi (Roma, 1963), il quale non solo rappresentava par excellence gli storici e critici d’arte italiani, ma anche era anche il Direttore dell’istituto Centrale del Restauro dal 1939 (grazie a Bottai), e considerava suo compito moralizzatore vietare la falsificazione di ogni genere di opera d’arte, sperando di aumentare il campo delle competenze dell’Istituto. Coinvolgendo impropriamente, così, l’architettura, la quale, come si ripete, non è autografa come un dipinto d’autore, ma è il frutto di una lunga catena di interpretazioni da parte degli esecutori del disegno (o dello schizzo) dai quali nasce, ma anche di una lunga serie di manutenzioni e di riusi, se è più «vecchia» di mezzo secolo.

A questo punto, la manutenzione appartiene al restauro architettonico di diritto, come la «registrazione» degli strumenti musicali appartiene di diritto al musicante, fino ad esigere la sostituzione delle corde del piano o del violino, se corrose, se non fino al restauro del violino stesso con legno affine a quello originale, allo scopo di «rendere» meglio il suono – ovvero il significato della musica – e certo senza modificarne il disegno. Se poi la musica o la scultura in marmo o bronzo non sono state paragonate all’architettura dai critici d’arte o dai conservatori di oggetti d’arte mobili che finora si sono occupati di restauro, non è colpa nostra, ma della loro miopia.

D’altra parte, solo in Italia sopravvive la teoria secondo la quale il restauro à l’identique coinciderebbe con la falsificazione, e con lui anche le pratiche della manutenzione che non si limiti solo a conservare l’oggetto come ci è pervenuto, coi suoi acciacchi e con le sue modificazioni successive; nel Congresso Internazionale dell’INTBAU a Venezia, il 2 novembre 2006, chi scrive ha avuto l’onore di partecipare ad una riscrittura della Carta di Venezia del 1964 che ha fatto giustizia degli errori logici sopra denunciati, riportando l’Italia al livello degli altri paesi del mondo.

 

Paolo Marconi

 

 

 

Speciale "Brandi cento anni dopo" del «Giornale dell'Arte» (4 articoli)

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Vai all'intervista di B. Antonetto a Bruno Zanardi

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Pagina creata il 10-06-2008 | Aggiornata il 10-06-2008