ASSOCIAZIONE AMICI DI CESARE BRANDI

 

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2006-04-08

 

Cento anni fa nasceva Cesare Brandi

La storia dell'arte raccontata con il restauro.

 

di Damiano Benvegnù

in «Giornale di Brescia», 08 aprile 2006, p. 52

 

Se l'Italia è per natura - come ha scritto il poeta francese Yves Bonnefoy in un suo libro pubblicato di recente - una «terra per le immagini», questo è dovuto anche all'immenso patrimonio artistico che ha accumulato durante la sua storia, alla sua stratificata eredità culturale visibile non solo in città come Roma, Firenze, Venezia o Palermo, ma in ogni angolo, anche il più dimenticato, della penisola. Si tratta tuttavia, come scrisse il grande storico dell'arte Cesare Brandi nei suoi ultimi articoli per il Corriere della sera ora raccolti nel volume Il restauro. Teoria e pratica (Editori Riuniti, 385 pagine, 20,00 euro), di «un patrimonio insidiato», sia dalla semplificazione post-moderna sia, più facilmente, dall'incuria e ignoranza di coloro che dovrebbero proteggerlo.

Perciò è tanto più importante ricordare il centenario della nascita di Brandi, umanista sottile e sensibile, storico dell'arte e studioso di estetica, scrittore e poeta, e probabilmente il maggiore teorico italiano del restauro: la sua opera principale, Teoria del restauro del 1963, è tuttora un caposaldo internazionale di molte operazioni di ripristino contemporanee, tra cui quella degli affreschi della volta della Basilica di San Francesco ad Assisi, polverizzati dal terremoto del 1997, ed inaugurata oggi. Nato a Siena l'8 aprile 1906 e morto nel 1988 dopo una lunga malattia, Brandi iniziò la sua attività culturale nella città natale - dopo essersi laureato giovanissimo in Giurisprudenza e poi in Lettere a Firenze, - presso la Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Siena e lavorando al catalogo pubblicato dal Poligrafico dello Stato nel 1933, anno in cui si trasferì a Bologna. Gli anni successivi furono all'insegna di continui spostamenti, per lavoro in terre vicine e amate come la Puglia o l'Umbria, o in Paesi lontani come la Cina, l'India o il Medio Oriente, raccontati in libri che ne sancirono la fama di scrittore - nel 1977 vinse il Premio Viareggio per la saggistica - attento oltre che agli aspetti storico-artistici, anche alle peculiarità minime dei luoghi visitati.

Dopo essere passato per Udine e Rodi (presso il Governatorato delle isole italiane dell'Egeo), nel '39 Brandi fondò a Roma, con Giulio Carlo Argan, l'Istituto Centrale per il Restauro, che avrebbe diretto fino al 1959. Questo fu il primo centro all'avanguardia aperto in Italia per quanto riguarda la salvaguardia, la tutela e la «cura» - in senso letterale - dell'enorme patrimonio artistico italiano, tanto che fece subito scuola e Brandi fu chiamato più volte, negli anni successivi, come consulente per interventi di restauro promossi dall'Unesco: dalla Jugoslavia, dove andò nel '51 per la ricostruzione della chiesa di Santa Sofia in Ochrida, a Gerusalemme, cinque anni più tardi, per il restauro dei mosaici della Moschea di Omar, all'Egitto nel 1958 per le pitture rupestri di Abu Hoda e la tomba di Nefertari a Luxor.

Il metodo praticato dallo studioso senese si fondava su un approccio fenomenologico ai prodotti artistici, mutuando dalla filosofia specie tedesca e francese (ma con un evidente apporto dell'estetica crociana) l'attenzione alla portata ermeneutica del restauro. Come ebbe a dire egli stesso, «un monumento ce lo consegna la storia, e qualsiasi intervento che ne cambi l'aspetto deve essere giustificato da superiori ragioni di estetica e di conservazione. Ma tali ragioni, ed il modo col quale vengono attuate, non devono servire a cancellare la storia, e cioè il tempo che è passato sul monumento». Un'attenzione, dunque, aperta da un lato alla storicità dell'opera e dall'altro a quella che egli chiamò la sua «qualità individuale», ossia la capacità di essere al tempo stesso presente ma «non di questo mondo», coniugando così in una sorta di «unità potenziale» intrinseca all'opera d'arte il momento particolare ed autonomo della produzione con quello generale della fruizione.

Lo studio del restauro lo portò poi, come naturale conseguenza, alla formulazione di una teoria estetica globale, che espose in diversi importanti volumi dedicati alle varie arti, i quali trovarono la loro summa teorica nel saggio Le due vie, uscito nel 1966 e oggi introvabile, dove Brandi si avvalse anche dei recenti risultati della linguistica strutturale e della semiotica. Negli stessi anni i suoi interessi lo portarono a confrontarsi non solo con l'antichità e con la salvaguardia, ma anche con la produzione contemporanea, da Picasso a Morandi, fino a giungere a Burri, dapprima da lui non compreso e poi; con coraggiosa onestà intellettuale, oggetto di un suo studio che sancì con chiarezza il valore dell'artista di Città di Castello.

Amico di molti dei più celebrati artisti e intellettuali italiani - da Gadda a Ungaretti, da Guttuso a Elsa Morante, solo per citarne alcuni, - egli entrò anche nel vivo del dibattito sul contributo della teoria rispetto all'arte, con interventi polemici nei confronti delle cosiddette tendenze, fino ad affermare, nel 1984, che «rispetto ai primi del secolo la situazione è rovesciata: oggi non sono gli artisti a suscitare la teoria, ma è il critico che "fa nascere" gli artisti», contrapponendosi così ad una certa deriva teorica e concettuale in atto nell'arte contemporanea.

Ma è soprattutto la sua altissima statura di intellettuale a tutto tondo - insegnò anche Storia dell'arte nelle Università di Palermo e di Roma - che viene ricordata in questi giorni nelle numerose manifestazioni indette per il centenario della sua nascita: la statura di un uomo consapevole di lavorare, sempre a partire dall'attenzione ai particolari, anche per coloro che dovranno venire, poiché come scrisse ad apertura della sua Teoria del 1963, «il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro».

 

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