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        Rassegna stampa
         
      
      2007-05-25
      
       
      
      Cesare Brandi, in tutto il mondo 
      
      il restauro ha la sua voce 
       
      
      di Fabio Isman
      
      in «Il Messaggero», 25 maggio 2007, p. 31
       
      
       
      
      ROMA - Un anno per celebrarne i 100 dalla nascita: ormai volge al termine, 
      e «sono state 70 manifestazioni in tutto il mondo su Cesare Brandi; tra le 
      ultime, quasi a consuntivo, tre giorni di convegno ai Lincei, la prossima 
      settimana; il suo testo fondamentale, la Teoria del Restauro, 
      tradotto anche in cinese, in boemo e, presto, in russo e in arabo», spiega 
      Giuseppe Basite, autore di mille restauri tra cui Assisi e la Cappella 
      degli Scrovegni a Padova, suo primo allievo a Palermo nel 1961, ed ora 
      insediato, a Roma, sulla cattedra creata apposta per Brandi nel 1948: «In 
      Cina e Giappone, i suoi metodi si sono imposti: all’università e al museo 
      di Kyoto, alla Grande Muraglia e alla Città Proibita; perfino nel Benin, 
      dove la scuola di restauro è intitolata a lui». L’istituto centrale per il 
      Restauro, che, con Giulio Carlo Argan, Brandi fonda nel 1939, «ha segnato 
      uno degli atti memorabili nella storia della cultura del Novecento», dice 
      il vicepremier e ministro dei Beni culturali, Francesco Rutelli; qualcuno 
      lo valuta tra le 13 istituzioni davvero rivoluzionarie prodotte nel 
      secolo, con l’istituto di Fermi a via Panisperna, il Pasteur, la Bauhaus, 
      e poche altre. 
      
      La vita di Brandi è scandita da 50 volumi e 150 interventi sui giornali; 
      dai 30 anni alla testa del suo Istituto; dai pionieristici restauri del 
      dopoguerra; dal lungo periodo di vicepresidente a Italia nostra; 
      dall’irrefrenabile passione civile; un suo breve testo su Klee, scritto in 
      fretta, è, per Dino Buzzati, «insigne esempio di giornalismo, oltre che 
      d’intelligenza»; in una lettera a Gianfranco Contini, nel 1950, Pasolini 
      io definisce «eterno, diabolico, ignoto, l’uomo meno raro e difficoltoso 
      mai incontrato, un calore e una precisione di lingua che raramente ho 
      riscontrato». 
      
       
      
      Basile, ma perché Brandi è ancora attuale? 
      
      «Perché in tutto il mondo il restauro ha la sua voce». 
      
       
      
      Licia Vlad Bondlli, lei che all’Istituto ne fu tra i primi discepoli e 
      collaboratori, è d’accordo? 
      
      «Brandi è sempre stato inattuale; non era nel presente, per cui può stare 
      benissimo nel futuro; ha avuto straordinarie anticipazioni 
      sull’applicazione delle tecnologie, e sulla filosofia dei restauri; ha 
      inventato un metodo». 
      
       
      
      Basile, chi erano i suoi artisti, chi gli amici, quali i restauri più 
      importanti? 
      
      «Il grande amico, Argan: nemmeno una sua stroncatura a un libro di Brandi 
      intaccò il loro rapporto; tra gli artisti, Morandi aveva un posto nel 
      cuore più interno; poi, Manzù, Guttuso e, alla fine, Burri. Il restauro 
      fondamentale è la Maestà di Duccio, cui dedica anche la prima 
      biografia in età moderna: instaura un paragone con Picasso, perché i due 
      chiudono un’epoca, e restano sulla soglia del futuro. Il libro più diffuso 
      è la Teoria del restauro; però, il più importante, che abbraccia 
      tutte le espressioni artistiche poiché Brandi era un vero umanista, è la
      Teoria generale della critica. Un uomo di grande moralità; ha 
      lasciato la casa in vista di Siena allo Stato, con le opere che aveva 
      collezionato: dovrà diventare un centro d’alta cultura». 
      
       
      
      Su uno schermo passano 20 minuti delle 2 ore e 10 di sue interviste alla 
      tv, che Annamaria Cerrato ha trovato (« un tempo lunghissimo: veniva 
      interpellato spesso»), anche quando «un restauratore guadagnava 50 mila 
      lire al mese», quando c’era da polemizzare per le prime lottizzazioni, e 
      Antonio Paolucci, già ministro e soprintendente a Firenze (che definisce 
      Bruno Bottai «il più grande ministro della cultura nell’Italia moderna»), 
      spiega che il primato nella scienza della conservazione «è unanimemente 
      riconosciuto al nostro Paese, e va attribuito in toto a Brandi»; 
      Licia Vlad racconta che «50 anni dopo, le metodologie da lui inventate 
      vengono utilizzate ancora: per esempio, nel disastro per il terremoto, ad 
      Assisi»; Danielle Mazzonis, sottosegretario ai Beni culturali, deduce che 
      «se qualcuno aveva dei dubbi, se ne liberi subito: Brandi è ancora vivo, è 
      ancora tra noi».